Qualcosa di stranamente avventuroso è già nella nascita di questo riminese, avvenuta nientemeno che a Zonguldak nella lontana Turchia, nel 1933. La responsabilità di questo approdo in quella terra dai colori forti e dalle passioni violente è tutta del padre, il quale, tecnico minerario, lavorava in una società franco-turca; quando nacque in Italia la Società Carbonifera sarda, fu invitato, come tutti i tecnici italiani, a tornare in patria (si era nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale), l'infanzia di Enzo Maneglia fu abbastanza movimentata: Castiglione dei Pepoli (Bologna), Vicenza. Roma, dove fece il servizio militare, quindi Urbino dove insegnò all'Istituto Professionale, poi Pesare, poi Rimini; di Rimini è la moglie Lydia, anche lei pittrice, anche lei disponibile per i colloqui cromatici con la natura alla quale concede il dono di sensibilissime interpretazioni. Oggi Maneglia abita definitivamente a Rimini, dove insegna Educazione Tecnica, dopo aver insegnato Radiotecnica negli Istituti Professionali, sempre a Rimini ha dato vita, con la moglie e due amici pittori, al "Gruppo 4", un singolare sodalizio di amici artisti, diversi per tecniche ma tenuti uniti dalla necessità di "riformare" il mondo nel nome della solidarietà umana.
Lineare la sua carriera. Maneglia è stato disegnatore da sempre.
Le prime vignette le pubblicò sul giornale cagliaritano Pepe e sale, poi, dal 1956, il Travaso di Guasta gli fece spazio sulle sue corrosive colonne, dapprima nella rubrica "II Travasetto", una specie di anticamera per gli umoristi dotati di talento ma ancora alle prime armi, quindi come collaboratore fisso. La promozione avvenne "per meriti speciali", perché Maneglia aveva ideato la "plastivignetta", una composizione plastica, scenografica, ambientata, in cui cercava di unire il reale all'artificiale. L'idea ebbe successo tanto che meritò al suo autore la medaglia d'oro alle Olimpiadi dell'Umorismo di Parma, nel 1960. Ormai affermato, Maneglia vide pubblicate le sue vignette anche su altri periodici come Calandrino, Bertoldo, Candido, e su quotidiani, sui quali, come lui tiene a sottolineare, ebbe le maggiori soddisfazioni. Proprio su un quotidiano L'avvenire d'Italia, cominciò a pubblicare vignette e caricature di personaggi della politica e del mondo dello spettacolo sotto la direzione di Angelo Silvio Ori e in collaborazione con Italo Moscati.
Da circa venti anni Maneglia lavora per Riviera Eco, un settimanale d'informazione turistica che interessa la zona costiera adriatica da Ravenna ad Ancona. Oltre che all'insegnamento Maneglia si dedica alla grafica pubblicitaria, come designer: illustra riviste d'arte e dépliant turistici, promuove lanci pubblicitari per stabilimenti grafici e organizzazioni settoriali.
Sua prima, antica passione, il disegno. In questo campo Maneglia non ha grandi modelli: parte da se stesso, come tutti gli autodidatti, e costruisce sul suo metro i suoi personaggi, i quali quindi hanno l'inconfondibile segno del suo modo delicato di guardare al mondo.
Le sue mostre personali sono state sempre di grande richiamo: quelle in patria, dove è stato buon profeta, altre a Tolentino, a Pescara; di premi ne ha vinti diversi a Lanciano, ad Ancona, a Pescara. Nelle varie mostre personali e collettive è possibile ammirare il suo segno largo e pulito, più disposto a suggerire situazioni che a realizzarle: c'è in quelle figure molta compostezza, una certa imperturbabilità tutta inglese; niente clamori ne cattiveria, ma una saggia amministrazione di se stesso. La zampata furiosa non la trovi mai, soltanto il pizzico irriguardoso, o a volte lo sberleffo, ma frontale, faccia a faccia. Talora - vedi "II critico d'arte", il censore col pennello infilato nell'occhio - il ruggito sembra essersi svegliato, ma è solo apparenza; anche allora da uno scappellotto da professore postsessattontesco, permissivo e bonario, favorendo un sospetto di complicità - che è poi disponibilità a comprendere - col suo stesso bersaglio. È l'abitudine al design o alla grafica pubblicitaria che smorza alquanto i furori, peraltro non impetuosi, lasciando al disegno tutta la sua carica di self-control. Forse è proprio nel campo della pittura che Maneglia interroga di più i suoi fantasmi inferiori, scavando nella miniera delle regioni inconfessate dello spirito, fermandosi lungo la via degli interrogativi e lasciando così la porta aperta alle ricreazioni dell'osservatore.
Ma là dove il suo spirito estroso diventa efficace e corrosivo è nell'uso che fa del polistirolo per riprodurre i personaggi più importanti del nostro tempo. Si tratta di una serie di busti che costituiscono una straordinaria galleria di passioni e di vanità. Qui la disposizione umoristica di Maneglia resta ugualmente estranea ad ogni cattiveria, ma la sua capacità di cogliere i momenti più individuanti dei nostri miti quotidiani è di una sottigliezza impareggiabile. Il materiale fragile e duttile sembra ancora in movimento, e i tagli e gli scarti comunicano vitalità ai minimi spazi. Cosicché alla fine ti accorgi che Maneglia è riuscito a rubare ai modelli la loro verità e a perfezionarla, ingigantendola senza deformarla: un gioco di mobilità e di ombre che prolunga la vita dei personaggi in una sfera d'arte nella
quale non c'è posto più per le mistificazioni e l'uomo è solo con la sua umanità, ridicola o meschina ma sempre vicina alle sue normalità. Si vedano i busti di La Malfa e di Carter in particolare, la cui incidenza nei fatti nazionali e internazionali di questi ultimi anni ha costituito uno dei motivi obbligati della cronaca: la serietà un po' altezzosa del primo, l'aria disorientata e stupita da improvvisatore dell'altro restano evidenti all'occhio ma non hanno ne freddezza ne fissità, intenti come sono essi a continuare un discorso a una platea che li ha già giudicati.
La posizione di Maneglia nei riguardi della nostra storia è chiara. Egli non giudica le passioni politiche o le fazioni e neppure fa politica attiva: dietro il paravento di vetro che lo separa dagli altri, egli vede, osserva, capta lampeggiamenti e vanità; su questo materiale, divenuto inerme e disposto a subire aggressioni, egli opera di coltello con la stessa abilità incisiva con cui lavora il polistirolo. E critica e giudica tutti, in qualunque zona ideologica si trovino. Tuttavia la sua distanza dalle passioni è soltanto apparente, che egli sa che l'umorista non deve estraniarsi dai fatti ne distrarsi se vuole che il suo lavoro diventi un apporto concreto per cambiare le cose: anche per suo merito, insomma, il mondo può e deve migliorare. L'umorista però deve procedere per certi binari determinati e mai deviati: intanto egli deve fare anche un discorso nuovo, rivolgendosi cioè a forme nuove d'arte e non affidandosi soltanto alle vignette, a volte soltanto pretesti per un'evasione ben collaudata ma sempre disimpegnata, bensì entrando anche nel campo difficile e controverso' dell'umorismo grafico; poi deve uscire dalle secche del conformismo e delle situazioni abitudinarie per diventare, se possibile - ed è possibile - nuovi pretesti umoristici, nuove sollecitazioni, rifuggendo dai luoghi comuni; poi, è importante, deve imparare a dire di no al potere, alle piccole mafie e alle violenze camuffate da paternalismi; e deve, se ha forza da vendere, farsi avanti senza lasciarsi inghiottire dall'organizzazione, dentro la quale non gli sarebbe possibile sfuggire ai compromessi. Un programma difficile, questo che Maneglia in sostanza definisce irrinunciabile per l'umorista, e certamente più affidato alle intenzioni, se è vero che persino la satira oggi fa l'occhiolino al potere per sopravvivere. Ma lui non sembra preoccuparsene; sostenuto da una lunga carriera di umorista e di artista sdegnoso e appartato, che è riuscito a farsi avanti a forza di gomitate che volevano essere soltanto la ricerca di un giusto spazio per la propria creatività, egli continua a credere nella bontà di un messaggio il cui destinatario è prima lui stesso, attento e serio, dall'intuito pieno di cipiglio ma ben sperimentato, e poi l'uomo, l'altro uomo, che percorre le sue stesse strade e troppe volte smarrisce la via della saggezza.
(Luigi Morgione)
Lineare la sua carriera. Maneglia è stato disegnatore da sempre.
Le prime vignette le pubblicò sul giornale cagliaritano Pepe e sale, poi, dal 1956, il Travaso di Guasta gli fece spazio sulle sue corrosive colonne, dapprima nella rubrica "II Travasetto", una specie di anticamera per gli umoristi dotati di talento ma ancora alle prime armi, quindi come collaboratore fisso. La promozione avvenne "per meriti speciali", perché Maneglia aveva ideato la "plastivignetta", una composizione plastica, scenografica, ambientata, in cui cercava di unire il reale all'artificiale. L'idea ebbe successo tanto che meritò al suo autore la medaglia d'oro alle Olimpiadi dell'Umorismo di Parma, nel 1960. Ormai affermato, Maneglia vide pubblicate le sue vignette anche su altri periodici come Calandrino, Bertoldo, Candido, e su quotidiani, sui quali, come lui tiene a sottolineare, ebbe le maggiori soddisfazioni. Proprio su un quotidiano L'avvenire d'Italia, cominciò a pubblicare vignette e caricature di personaggi della politica e del mondo dello spettacolo sotto la direzione di Angelo Silvio Ori e in collaborazione con Italo Moscati.
Da circa venti anni Maneglia lavora per Riviera Eco, un settimanale d'informazione turistica che interessa la zona costiera adriatica da Ravenna ad Ancona. Oltre che all'insegnamento Maneglia si dedica alla grafica pubblicitaria, come designer: illustra riviste d'arte e dépliant turistici, promuove lanci pubblicitari per stabilimenti grafici e organizzazioni settoriali.
Sua prima, antica passione, il disegno. In questo campo Maneglia non ha grandi modelli: parte da se stesso, come tutti gli autodidatti, e costruisce sul suo metro i suoi personaggi, i quali quindi hanno l'inconfondibile segno del suo modo delicato di guardare al mondo.
Le sue mostre personali sono state sempre di grande richiamo: quelle in patria, dove è stato buon profeta, altre a Tolentino, a Pescara; di premi ne ha vinti diversi a Lanciano, ad Ancona, a Pescara. Nelle varie mostre personali e collettive è possibile ammirare il suo segno largo e pulito, più disposto a suggerire situazioni che a realizzarle: c'è in quelle figure molta compostezza, una certa imperturbabilità tutta inglese; niente clamori ne cattiveria, ma una saggia amministrazione di se stesso. La zampata furiosa non la trovi mai, soltanto il pizzico irriguardoso, o a volte lo sberleffo, ma frontale, faccia a faccia. Talora - vedi "II critico d'arte", il censore col pennello infilato nell'occhio - il ruggito sembra essersi svegliato, ma è solo apparenza; anche allora da uno scappellotto da professore postsessattontesco, permissivo e bonario, favorendo un sospetto di complicità - che è poi disponibilità a comprendere - col suo stesso bersaglio. È l'abitudine al design o alla grafica pubblicitaria che smorza alquanto i furori, peraltro non impetuosi, lasciando al disegno tutta la sua carica di self-control. Forse è proprio nel campo della pittura che Maneglia interroga di più i suoi fantasmi inferiori, scavando nella miniera delle regioni inconfessate dello spirito, fermandosi lungo la via degli interrogativi e lasciando così la porta aperta alle ricreazioni dell'osservatore.
Ma là dove il suo spirito estroso diventa efficace e corrosivo è nell'uso che fa del polistirolo per riprodurre i personaggi più importanti del nostro tempo. Si tratta di una serie di busti che costituiscono una straordinaria galleria di passioni e di vanità. Qui la disposizione umoristica di Maneglia resta ugualmente estranea ad ogni cattiveria, ma la sua capacità di cogliere i momenti più individuanti dei nostri miti quotidiani è di una sottigliezza impareggiabile. Il materiale fragile e duttile sembra ancora in movimento, e i tagli e gli scarti comunicano vitalità ai minimi spazi. Cosicché alla fine ti accorgi che Maneglia è riuscito a rubare ai modelli la loro verità e a perfezionarla, ingigantendola senza deformarla: un gioco di mobilità e di ombre che prolunga la vita dei personaggi in una sfera d'arte nella
quale non c'è posto più per le mistificazioni e l'uomo è solo con la sua umanità, ridicola o meschina ma sempre vicina alle sue normalità. Si vedano i busti di La Malfa e di Carter in particolare, la cui incidenza nei fatti nazionali e internazionali di questi ultimi anni ha costituito uno dei motivi obbligati della cronaca: la serietà un po' altezzosa del primo, l'aria disorientata e stupita da improvvisatore dell'altro restano evidenti all'occhio ma non hanno ne freddezza ne fissità, intenti come sono essi a continuare un discorso a una platea che li ha già giudicati.
La posizione di Maneglia nei riguardi della nostra storia è chiara. Egli non giudica le passioni politiche o le fazioni e neppure fa politica attiva: dietro il paravento di vetro che lo separa dagli altri, egli vede, osserva, capta lampeggiamenti e vanità; su questo materiale, divenuto inerme e disposto a subire aggressioni, egli opera di coltello con la stessa abilità incisiva con cui lavora il polistirolo. E critica e giudica tutti, in qualunque zona ideologica si trovino. Tuttavia la sua distanza dalle passioni è soltanto apparente, che egli sa che l'umorista non deve estraniarsi dai fatti ne distrarsi se vuole che il suo lavoro diventi un apporto concreto per cambiare le cose: anche per suo merito, insomma, il mondo può e deve migliorare. L'umorista però deve procedere per certi binari determinati e mai deviati: intanto egli deve fare anche un discorso nuovo, rivolgendosi cioè a forme nuove d'arte e non affidandosi soltanto alle vignette, a volte soltanto pretesti per un'evasione ben collaudata ma sempre disimpegnata, bensì entrando anche nel campo difficile e controverso' dell'umorismo grafico; poi deve uscire dalle secche del conformismo e delle situazioni abitudinarie per diventare, se possibile - ed è possibile - nuovi pretesti umoristici, nuove sollecitazioni, rifuggendo dai luoghi comuni; poi, è importante, deve imparare a dire di no al potere, alle piccole mafie e alle violenze camuffate da paternalismi; e deve, se ha forza da vendere, farsi avanti senza lasciarsi inghiottire dall'organizzazione, dentro la quale non gli sarebbe possibile sfuggire ai compromessi. Un programma difficile, questo che Maneglia in sostanza definisce irrinunciabile per l'umorista, e certamente più affidato alle intenzioni, se è vero che persino la satira oggi fa l'occhiolino al potere per sopravvivere. Ma lui non sembra preoccuparsene; sostenuto da una lunga carriera di umorista e di artista sdegnoso e appartato, che è riuscito a farsi avanti a forza di gomitate che volevano essere soltanto la ricerca di un giusto spazio per la propria creatività, egli continua a credere nella bontà di un messaggio il cui destinatario è prima lui stesso, attento e serio, dall'intuito pieno di cipiglio ma ben sperimentato, e poi l'uomo, l'altro uomo, che percorre le sue stesse strade e troppe volte smarrisce la via della saggezza.
(Luigi Morgione)